Il sottopassaggio di Via Quintino Sella

Ivan Perilli
5 min readJan 17, 2023

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Si vive di ricordi, di parole che rimangono emblematiche. Che io ricordi, almeno! Mai come in questo caso cercherò di ricordare al meglio, e sperando di spiegare bene quel che ho sempre creduto.

Insomma, ero bambino, come tutti lo eravamo — mi verrebbe da dire — negli Anni Ottanta. C’è chi dice “sottopasso”, chi “sottopassaggio”. Per me era la seconda. Il sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella era di fronte casa di mia nonna, lato Estramurale (Via Capruzzi). Tu che mi leggi, se sei di Bari, sai che l’espressione “il sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella” — lunghissima per un luogo — ha un significato ben preciso. Luogo… era un sottopasso, lo è ancora. Una spianata di asfalto e due grosse curve, per passare sotto i binari della stazione. Era ed è uno dei quattro più trafficati accessi tra Murat/Libertà/Madonnella e il resto della città di Bari, dall’altro lato appunto, della stazione. Con la sua forma strana, era e rimane il più mastodontico, quello che dal sedile posteriore della Ford Fiesta di mio padre mi sembrava il Tunnel delle Manica, uno rampa di lancio di Las Vegas, e all’epoca non sapevo cosa fossero la Manica o Las Vegas. Posso solo parlarne ora usando il passato, anche se esiste ancora, ovviamente. Ma tra il 1986 e il 1995, direi a occhio e croce, per me il sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella significava inconsciamente tante cose. Significava quella lunga scala, spartana, di grossi gradoni di pietra (o erano corte le mie gambe?) per scendere nel punto più basso del sottopasso, nemmeno fosse una miniera. Significava “da un lato sali e dall’altro scendi”, entrambi atroci da fare in bici in salita, che anche le Cinquecento e le Centoventisei faticavano. Ricordo che il rumore era notevole, nell’attraversare l’effettivo sottopassaggio, tutto grigio e nero con le auto che imboccavano la curva in ingresso sempre con una malcelata voglia di circuito cittadino di Montecarlo.

Il sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella significava il Royal, con i manifesti dei film che mai sono andato a vedere, “perché andare al cinema costa e ci sono tanti film in TV” si diceva, o almeno così mi dicevano i miei per farmi passare la voglia.

Da quel sottopassaggio in quei decenni sono passati tutti, qualcuno è diventato qualcuno, qualcun altro nessuno e forse ha fatto meglio così, e alcuni se la sono comunque cavata, altri sono morti di vecchiaia, e dulcis in fundo qualcuno è morto bucandosi nascosto dalle poche luci e tante ombre di Corso Italia, dal lato del sottopasso che riaffiorava sfiorando la stazione. Dall’altro lato invece si usciva (siamo nel 1988, poche storie) lato Picone o comunque si risaliva verso via Giulio Petroni. C’era il deposito dell’AMTAB, anche se non ci ho mai visto un autobus lì — e lì le minerve a Natale facevano più casino, con tutto quello spazio ad amplificare — e la facciona gigantesca di Che Guevara di quelle che erano le leggendarie Fucine Meridionali (io ero troppo piccolo per ricordare ma quel nome, anche quello, rimane impresso nella mia memoria).

Non sono mai stato, in ogni caso, un grande esperto della città di Bari. Ci sono nato, cresciuto e poi l’ho salutata alla volta di città più grandi. Eppure il sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella mi è inspiegabilmente rimasto nel cuore.

OK, forse qualcuno ora sta sbraitando, non riesce a stare fermo sulla sedia mentre legge queste mie parole, perché qualcuno — ne sono davvero sicuro — pensando al sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella avrà pensato semplicemente a queste parole:

“Sognando un mondo reale
un brivido fuggente
nella trasfigurazione di un istante”

Blu, caratteri a loro modo cubitali, su tre righe, sul muro alla sinistra del lato del sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella adiacente l’Estramurale di via Capruzzi. Mai saputo chi l’avesse scritta, mai saputo da dove venisse. La leggevo da bambino, mentre vi ci passavo davanti nella Ford Fiesta di mio padre. Me ne piaceva il suono delle parole? Il mistero del loro significato? Ero un bambino, quindi credo che la parola “trasfigurazione” non fosse per me la più semplice da recepire e capire. Con gli anni ci ho pensato davvero tante volte, ripetendola come un mantra, come qualcosa di fermo nella memoria, nonostante non fosse una frase così immediata. Tanti anni fa l’intero muro fu pulito per far posto cartelloni pubblicitari (la seconda pelle di Bari) e la frase fu cancellata, non ricordo quando, ma scomparve. Ad ogni modo so per certo che non sono in pochi a ricordarla chiaramente. Banalmente, faceva sognare e fa ancora sognare. Internet non mi ha aiutato (solo una traccia, anonima e su un sito qualsiasi), e con gli anni sono giunto alla conclusione che fosse una frase autentica, che fosse farina del sacco di chi l’avesse anche scritta. Magari quelle lettere erano state tracciate anche prima di quel che io possa ricordare e all’epoca non c’era la Rete dove lasciare il proprio pensiero, e quindi serviva coraggio, rapidità e una bomboletta spray per gridare qualcosa al mondo.

“Sognando un mondo reale
un brivido fuggente
nella trasfigurazione di un istante”

Io penso che “sognando un mondo reale” sia un’espressione di una forza fuori dal comune, una locomotiva a pieno regime, è una frase che dice in un sol botto che quel che ci circonda non è la realtà, che sia la realtà meramente attorno a noi o quella personale che dobbiamo accettare, che entrambe possano essere una farsa e non quello che realmente crediamo che sia — il mondo reale, appunto. Quindi sogniamo la realtà, nello spazio, nel tempo, o comunque da qualche altra parte, in qualche altro modo. Ecco che allora “un brivido fuggente”, un attimo, qualcosa ci percorre la schiena, perché stiamo capendo che quel che abbiamo davanti a noi non lo è il mondo reale, e la “trasfigurazione di un istante” rappresenta la porta aperta, il varco che ci fa guardare probabilmente per pochi attimi a quello che è invece quel mondo reale che siamo limitati solo a sognare. Ma in quel dato istante, della lunghezza di un brivido fuggente, eccolo davanti a noi, chiaro e illuminato a giorno, lo vediamo — e quasi sicuramente ci lascia a bocca aperta, gli occhi strabuzzati, noi a guardare il mondo reale e non questa finzione.

Poi, mentre stavo per diventare grande e non mi sembrava poi così male come cosa, scendevo dal sottopassaggio-di-via-Quintino-Sella (allungando clamorosamente) quando tornavo a piedi dalle serate di discoteca rock alla vecchia taverna del Maltese di via Netti, tornavo che erano le tre di notte, o forse le quattro, io e tre amici affezionati, sembravamo dei metronotte, degli ispettori della legge, anche se probabilmente saltavamo al primo rumore improvviso, le silenziose ma mai buie strade di notte, di Bari, dove girare a un angolo, alla prima o alla seconda traversa, non faceva assolutamente alcuna differenza. Si andava nel terzo millennio, camminando per decine di isolati nella notte, e il mondo reale rimaneva ancora una trasfigurazione di un istante.

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Written by Ivan Perilli

25% author, 25% composer, 20% musician, 10% IT manager, 20% imagination.

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