Gli Anni Novanta

Ivan Perilli
5 min readJul 20, 2020

Probabilmente molti di voi in ascolto sono nati tra il 1977 e il 1983. Ci definiscono xennials e pare siamo una classe speciale, privilegiata e unica, siamo quelli che hanno visto il cambiamento da analogico e digitale, proprio mentre noi crescevamo, e forse siamo i soli a poterli capire davvero entrambi. Ma non è di questo che voglio parlarvi ora. Le persone nate, come me, in quell’intervallo di anni hanno potuto vivere, e soprattutto crescere, durante la decade più incompresa e meno nominata dal dopoguerra in poi: gli Anni Novanta.

Certo, non c’è paragone con i Sessanta, o gli anni Ottanta, giusto? Cosa è successo dopotutto negli Anni Novanta? Di tutto un po’ forse, ma non ce ne accorgevamo, eravamo timidi, cercavamo un’identità, proprio in quegli anni quando per la prima volta i nostri occhi si aprivamo sul mondo, e non era solo una questione della nostra città, del nostro paese, anche con la P maiuscola.

Si parla sempre prima di musica, no? C’erano i REM, gli U2 all’apice del loro successo, i Red Hot Chilli Peppers che ti spiegavano la California. Dagli Stati Uniti arrivava la valanga grunge, dall’Inghilterra il britpop. I Nirvana o gli Oasis? Come potevano piacerti entrambi allo stesso modo? Sfondavi lo stereo di casa ascoltando Black Hole Sun o Song #2? Guardavi Trainspotting… e le canne nel bagno della scuola diventavano di colpo estremamente fighe, e ti compravi la maglietta di Marilyn Manson o lo guardavi come si va a curiosare sul diavolo, di nascosto, su MTV. O magari no, allora andavi in discoteca, ma io non lo so questo, io portavo i capelli lunghi senza nemmeno accorgermene, eppure ‘the rhythm of the night’ e ‘what is love’… me le ricordo pure io.

Poi noi in Italia avremmo scoperto anni dopo, grazie a Internet, che in America succedeva la silenziosa rivoluzione dell’indie, gruppi dai nomi improponibili come i Neutral Milk Hotel che solo con Napster avremmo scoperto. Ma non c’era Internet negli Anni Novanta e o leggevi riviste musicali, o un amico ti prestava un CD, o se davvero ne avevi di soldi a quindici anni, ti facevi consigliare l’acquisto dal negozio di fiducia. Anni e anni dopo avremmo scoperto che quindi non serviva un contratto discografico, per farsi ascoltare.

Ma oltre alla musica? Quella era solo la colonna sonora…

Un passo indietro, ma profondo: un attimo prima, novembre 1989, quando forse si entrava ufficialmente nella nuova decade: in Germania, a Berlino, nel giro di una notte, veniva giù il Muro: eravamo bambini, ragazzini davanti al televisore. Io le scene al TG1 le ricordo, di questo muro che veniva preso a martellate e crollava e capivo che qualcosa di grandioso stava succedendo. Finiva qualcosa di brutto, finiva una divisione. Negli Anni Novanta siamo cresciuti con questa meravigliosa idea di unione, di Europa unita, le prime chiare idee che le altre nazioni sono belle perché hanno bandiere diverse da veder sventolare e lingue da imparare ma che Francia, Spagna, Italia, Olanda e tutte le altre si volevano bene. Ci si credeva, era bello. S’iniziava a prendere sul serio l’inglese, serviva una lingua comune per farsi capire, per conoscere il mondo. Solo chi andava bene a scuola in inglese già lo si immaginava un giorno a vivere un’altra nazione, senza sapere che poi i voli low-cost ci avrebbero spostati invece in così tanti.

C’era quindi tutto il calderone del blocco sovietico, il muro che crollava e la Jugoslavia che si sfracellava, lì dall’altro lato dell’Adriatico, dove scoprivamo che esistevano Croazia, Slovenia, Bosnia e che quei popoli lì quindi non erano un unico popolo. Sarajevo diventava un simbolo, e gli U2 ci mettevano la firma con la bellissima Miss Sarajevo, un brano unico, da top ten, per i nostri Anni Novanta.

Il conflitto in Jugoslavia, già… e piazza Tienanmen… anche quella nel 1989. L’omino che blocca il carrarmato. Brividi.

Eppure finiti i Novanta, non successe nulla, o quasi. Ora men che meno, anzi. Ma in quella decade lì, con tutta la vita davanti a te, davvero pensavi che il mondo stesse per diventare un posto migliore, tutti i colori uniti come alla cerimonia di apertura di un campionato del mondo di calcio.

Da noi nel ’92 succedeva Mani Pulite. Di Pietro: all’improvviso questo sconosciuto personaggio diventava l’eroe nazionale, e in tanti si scopriva cosa fosse un pubblico ministero. Craxi scappava, tutti quei nomi con cui da bambini eravamo cresciuti ci venivano etichettati ora come Prima Repubblica, per noi i partiti erano sempre stati la DC, il PSI, il partito comunista e i Verdi e ovviamente di politica vera ne si sapeva ben poco. Ricordate che un attimo dopo arrivò Berlusconi. Sembrava davvero una cosa nuova, non avremmo mai potuto capire e scoprire tutto dal primo momento, in fin dei conti per tanti di noi Berlusconi era semplicemente il presidente del Milan, del Milan di Sacchi, quello della Coppa dei Campioni, quello dei tre olandesi. Il conflitto d’interessi? Altra parola nuova, proprio come pubblico ministero.

Ve li ricordate i mondiali del 1990? Notti magiche, certo… e scoprire in semifinale che non avremmo vinto noi il campionato del mondo. Il 1982 non ce lo si poteva ricordare, e quindi allora doveva succedere nel ’94. No, i rigori col Brasile, BAGGIO, e niente… non capivamo, non spettava anche a noi vivere una notte da campioni del mondo? Ci vollero altri dodici anni di attesa, ma questa è un altra storia. Abbiamo imparato forse a goderci quel Berlino 2006, lasciandoci a bocca asciutta per tutti i Novanta, anni e minuti.

Questa cosa invece la scrissi nel 2010, quella che vi leggo qui ora:

“Negli Anni Novanta non sapevi chi eri, chiamavi i tuoi amici a casa e il sapere era l’enciclopedia. Facevamo occupazioni, cortei, ma dubito sapessimo il perché o quanto quei motivi fossero seri. Un po’ tutti si provava a fare un tiro a una canna, quando l’unica altra droga nota pareva essere la cocaina, quella dei ricchi. L’eroina era fuori dall’immaginario e la confondevi con l’AIDS e sieropositivo o HIV erano la stessa cosa, quando ti faceva impressione trovare siringhe per strada. Gli Anni Novanta che iniziavano a comparire i primi pc e scambiavi dischetti. Gli Anni Novanta che i nostri cari erano tutti vivi e anche piuttosto svegli. Al mare d’estate, andare a Londra o Parigi era una cosa inconsueta, e mi domando che aria si respirasse su un aereo in classe economy nel 1993. Volevi scrivere una lettera d’amore? prendevi CARTA E PENNA. Ci siamo fregati noi con le nostre stesse mani, sono ormai dieci anni che controlliamo la posta elettronica e chattiamo chattiamo chattiamo, ma ho come la sensazione che non abbiamo detto molto, tutto troppo facile. Mi mancano gli Anni Novanta, sareste dovuti durare di più.”

e dieci anni dopo, nel 2020, guardo agli Anni Novanta come quella grande occasione svanita, o era solo un sogno? Ma il bello dei sogni è crederci. Ma penso pure che, se solo l’avessimo saputo, se solo qualcuno ci avesse avvisato, avremmo preso gli Anni Novanta molto più sul serio, non avremmo di certo perso quell’occasione.

(trascrizione dell’episodio #8 del Tempo di una birra con Ivan Perilli)

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Ivan Perilli

25% author, 25% composer, 20% musician, 10% IT manager, 20% imagination.