Aranciata
Apro la lattina di aranciata, ho preso l’aranciata perché so che anche se calda è bevibile. La caffetteria qui ha pochi clienti, ognuno immerso nei propri pensieri e nella propria calura. So bene di essere a Londra ma, ad agosto, se mi lascio scendere qualche goccia di sudore ai lati della fronte, mi potrebbe sembrare di essere a Milano, o a New Orleans, le due estati più torride che abbia mai affrontato. Certo, a New Orleans l’aranciata era decisamente gelata, al contrario di questa frase tiepida tiepida. La musica qui mi catapulta lontano. È jazz, vagamente cubano, sudamericano o qualcosa di simile. In questa città non fanno altro che abbattere muri e costruire nuovi palazzi, e non so di cosa verranno riempiti, di questo passo. Magari piscine, che ci rinfreschiamo tutti, finché non passa quest’afa. Chissà quanto doveva sudare Bukowski, quando ubriaco si metteva davanti alla macchina da scrivere, e dubito fortemente che le sue camere d’albergo, in quelle pensioncine dove succedeva di tutto… beh, dubito proprio avessero qualsiasi tipo di aria condizionata. Sono le quattro di pomeriggio, forse le cinque. Credo sia mezzogiorno a New Orleans, forse tarda mattina a Santa Fe. Jennifer, Jo e Janet magicamente non staranno sudando, sedute fuori a un baretto di Bourbon Street o in una stradina pedonale nel New Mexico 1912. Magie femminili, stregoneria bianca, nativi d’America. Qualcuno legge un libro, le pagine gridano altre immagini lontane, storie dal Giappone, di samurai. Martino legge e non riesce a esserci, fa troppo caldo, vorrebbe non sudare così tanto per poter riprendere a parlare con Jo, dopo un fortunoso scambio di battute, per un menù che tardava ad arrivare. Ma ora suda, New Orleans gli vuole già bene dopo averlo accolto nemmeno ventiquattr’ore fa. O non eravamo a Santa Fe? Fa caldo, davvero caldo, i serbatoi della Harley sono bollenti. I samurai dal libro sul Giappone possono decisamente aspettare, Jo e le sue amiche potrebbero andar via da un momento all’altro. Minuti sprecati e meglio così, perché ecco che arrivano tre ragazzoni ed ognuno di loro saluta la propria fidanzata, come in un telefilm preciso e perfetto. Martino avrebbe voluto i samurai ora, ad affettarli a quei tre. Un bambino strilla alle sue spalle, una famigliola è appena arrivata. Jo è occupata, i samurai boh, non ricorda minimamente cosa aveva letto nelle ultime due pagine. L’aranciata è finita. Sappiamo benissimo che Martino sta per andare via, ma pensa che forse riposa le gambe un altro po’. Altro strillo, e una fragorosa risata esplode dal tavolo delle tre coppie. Il fidanzato di Jo ha pure una tonante e insopportabile risata, che fa male ai timpani. Alzandosi da tavolino, Martino voleva fare un’uscita di scena di un certo livello, ma urta il ginocchio alla gamba del tavolo e lo fa sobbalzare, la lattina fortunatamente vuota rotola giù, i sei della risata fragorosa si girano, lui sorride, gli fa un male cane il ginocchio.
“Are you OK?” gli chiede proprio il fidanzato di Jo.
Martino risponde uno spropositato e supponente “YES”, lasciando nell’aria il disagio del momento e una voglia matta di essere già dietro l’angolo della strada, ad asciugarsi il sudore, lì a Santa Fe, New Orleans, Milano, Londra, Bari.